Prima il 7 gennaio, poi l'11, poi il 18, poi a fine mese, ma non per tutti. Così prosegue, da ormai quasi un anno, la lunga via crucis della scuola italiana che, se da un lato pare intenzionata a voler graziare in presenza le fasce d'età più piccole, continua a trovare nella didattica a distanza l' ancora di salvezza maggioritaria del sistema scolastico nazionale. Risultato? Che a scendere in piazza non sono solo gli "adulti", stuoli di genitori e insegnanti che del mezzo virtuale filtrante e diversamente comunicante proprio non ne possono più, ma gli stessi studenti ,che rivogliono la loro ricreazione, i compiti passati sottobanco, il timore dell'interrogazione alla cattedra, il sospirato suono della campanella e chi più ne ha più ne metta. E mentre governo, politicanti e comitati di esperti discutono, quando non litigano, su percentuali di rischio e calendari di rientro, non sono solo psicologi e pedagogisti a mettersi le mani nei capelli per i presunti danni emotivi causati alle giovani generazioni, ma persino gli economisti, che parlano di enormi carenze da background svantaggiato che, nel lungo termine, si tradurranno inesorabilmente in un effetto cumulativo-peggiorativo dell'apprendimento. Perchè, in un Paese in cui già la natalità è ai minimi termini, se al mondo del lavoro verranno meno anche giovani preparati, motivati, debitamente formati e capaci di relazionarsi col mondo, sarà l'intera nazione a subire i danni di un'ulteriore perdita di competitività economica e imprenditoriale. Il virus fa paura certo e la possibilità di contagio invita alla prudenza. Ma persino la ministra Azzolina a sto giro si è impuntata, dicendosi preoccupata per il black-out della socialità che i ragazzi stanno vivendo, oltre che per i rischi di dispersione scolastica. Ora sorge un unico dubbio. Su quale possa essere il criterio secondo il quale un certo ordine di grado e scuola debba ritenersi meno pericoloso di un altro. Perchè i bambini piccoli non si baciano sulla bocca come gli adolescenti, ma "smoccolano" con maggior frequenza, seppur asintomatici non sono esen-covid, il personale educativo non può sottrarsi all'elevato rischio di contrarre infezione e i minorenni qualcuno a scuola ce li dovrà portare. Quindi, se anche più basso è l'impatto sui mezzi pubblici utilizzati e il conseguente rischio assembramento, non si può escludere la circolazione di virus tra cose e persone che non se ne stanno barricate in casa. Stante la chiusura delle scuole da parecchi mesi, se fosse l'indotto scolastico a fare da incubatore e trasmettitore dovremmo ormai poter dormire sonni tranquilli. E invece non è così. Quindi? La soluzione allo sblocco di questo empasse non la possiamo certo dare noi, ma una cosa va detta. Che chi ad oggi è presente sul campo dell'istruzione con le porte aperte della sua scuola, ha rischiato, rischia e rischierà, con buona pace di genitori arrabbiati per l'interruzione del servizio a causa delle quarantene, spaventati dal contagio e critici sui modus operandi. Perchè, per tanto che ci si sforzi, c'è un unico modo per non correre il rischio di prendere il covid. Starsene chiusi in casa fino a tempi migliori. E allora, all'alba di quasi un anno dalle prime chiusure delle scuole, non sarebbe forse il caso di cominciare a valutare altri interventi possibili, come il potenziamento dei mezzi, lo scaglionamento degli orari, la chiusura di attività meno controllabili, il controllo del rispetto delle regole dentro e fuori gli edifici, il potenziamento di testing e tracciamento e la vaccinazione del mondo scolastico in prima fase? Perchè la scuola ha (o dovrebbe avere) pari dignità rispetto ai servizi essenziali e ai luoghi di lavoro, essendo una sintesi di entrambi. L'istruzione è un diritto che impiega lavoratori della conoscenza.
Monica Toso
DAD: Dateci Ancora Didattica
Aggiornamento: 22 nov 2023
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