La fatica del distanziamento imposto ai bambini in età pre-scolare: come impostare il lavoro nella scuola dell’infanzia, in cui la prossimità fisica è fondamentale.
I bambini ci vogliono vicini e vogliono sentire che noi stiamo al loro fianco in modo concreto. Questo un’insegnante di nido e scuola dell’infanzia lo sa da sempre, così come sa che le parole per i suoi piccoli alunni non bastano: ci vuole anche la vicinanza dei corpi. L’abbraccio del mattino, la carezza, la consolazione dopo il pianto, le coccole prima della nanna.
Gesti che servono a donare una sensazione di protezione e sicurezza.
“La vicinanza fisica – ci spiega Alberto Pellai- non funziona solo come elemento di protezione, nella relazione con un bambino. Essa è anche strumento di relazione. I bambini hanno un linguaggio del corpo che parla più delle parole e si serve di gesti concreti (….) Inoltre la vicinanza dei corpi per i bambini è l’elemento che sostiene tutte le funzioni esplorative.”
Non si può immaginare quindi un contesto educativo in cui i bambini 0-6 debbano vivere e con-vivere nel distanziamento e nell’isolamento, ma è proprio questa la sofferenza che hanno patito negli ultimi mesi, in cui l’emergenza dovuta alla pandemia da Covid 19 li ha obbligati a non toccarsi e a non avvicinarsi, qualcosa del tipo “se vuoi giocare con me fallo pure, ma a un metro di distanza”, niente di più lontano dal loro modo di essere e di approcciarsi al mondo.
Le conseguenze del distanziamento fisico privano i bambini di un linguaggio del corpo che, nelle relazioni con gli altri, parla più delle parole. Un linguaggio che, nella sua immediatezza e spontaneità, traduce in azioni i vissuti emotivi e i bisogni profondi, elementi relazionali che possono solo essere comunicati attraverso l’immediatezza del corpo che si muove e si incontra (o scontra) con l’altro.
Domandiamoci quale percezione il bambino può avere di un adulto che deve “stargli lontano” e lo rimprovera ogni qual volta si avvicina ad un compagno…
La relazione rischia di diventare innaturale, oltre che debilitante, in quanto di continuo inframmezzata dagli ossessivi: “Stai lontano”, “Non avvicinarti” “Sei troppo vicino”, “Non toccarlo”, “Non sfiorarlo”.
La sfida che attende gli adulti in questo tempo di distanziamento fisico è dunque enorme. Noi “grandi” siamo chiamati a generare comunque protezione, relazione, esplorazione e comunicazione, nella cornice di in quadro che non dipinge la vicinanza dei corpi.
Gli educatori della fascia 0-6 hanno però un vantaggio, basti pensare a quanto affermato al punto 3 del capoverso 2.4 nell’allegato 8 al DPCM dell’11 giugno, nel quale si invita a “mantenere quanto più possibile il distanziamento fisico di almeno un metro dalle altre persone, seppur con i limiti di applicabilità per le caratteristiche evolutive degli utenti e le metodologie educative di un contesto estremamente dinamico”.
“Quanto più possibile” significa che implicitamente il legislatore ammette che il distanziamento fisico resta un’indicazione e non una prescrizione assoluta.
La parola d’ordine diventa quindi flessibilità, di fronte a norme che in questa fascia d’età non precludono in modo assoluto il contatto tra bambini e tra bambini e adulti. Cosa che tra l’altro rappresenta anche una tutela del diritto che i bambini hanno di socializzare in un contesto che ne sa leggere i bisogni e sa evitare estremizzazioni che possono rivelarsi addirittura controproducenti.
Ed è questa la sfida cui siamo chiamati in questi mesi, una sfida che dovremo cercare, in un modo o nell’altro, di vincere.
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