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  • Immagine del redattoreMonica Toso

Quando la morte corre sui social


Di lei ci restano gli occhi belli e profondi, i lunghi capelli neri e il sorriso stampato sul volto, come dovrebbe essere per ogni bambino della sua età. Ma oggi quel sorriso si è spento per sempre, eppure Antonella aveva solo dieci anni, non era malata e lo smartphone che potrebbe averla indotta alla morte era il suo regalo di Natale. Difficile però pensare che in così poco tempo la giovane si sia creata una personale galassia fatta di cinque account Instagram, diversi profili Facebook, un profilo sull'app di condivisione video Likee e una quantità non meglio precisata di profili TikTok. Insomma doveva aver cominciato già molto prima a familiarizzare con selfie, scatti allo specchio e video di balletti scaricati e ricaricati su Instagram. Si pensa verso gli otto anni. Quello che non sappiamo è se questi profili siano stati aperti dal padre o direttamente dalla bambina, che magari ha deciso di utilizzare il suo nome come ulteriore metodo per aggirare il limite d'età della piattaforma. Su TikTok, infatti, i minori di 13 anni non possono avere un account e i minori di 16 anni vengono avvolti da ulteriori strati di protezione che provano a rendere private parti di questi profili. Non è un sistema infallibile perché, al netto dei controlli del social, un bambino può facilmente mentire e dichiarare di avere più di 16 anni. È così che Antonella ha aperto tutti i suoi profili social (a 10 anni ogni portale vieta l'apertura di un account, anche Instagram) e ha continuato a pubblicare contenuti. Qui il tema è quello già tristemente noto: non c'è nessuno che controlla cosa fanno i minori sui social. È un tema che coinvolge i social tanto quanto altri elementi su cui il dibattito relativo ai giovani ha martellato negli ultimi anni, come i videogiochi. In attesa di conoscere cosa è successo alla bambina, il dialogo tra figli e genitori è fondamentale, anche al netto di una situazione come quella di Antonella, dove il fulcro del tragico incidente è una supposta challenge .Un tema che va affrontato con i genitori ma anche con le piattaforme, che invece devono impegnarsi a individuare con più efficacia questi profili di giovanissimi. Perché se da un lato è preoccupante che una bambina si ritrovi a voler emulare le influencer a soli dieci anni, dall'altro lo è anche il fatto che molteplici piattaforme abbiano consentito che la stessa bambina di dieci anni avesse molteplici account social pubblici senza alcun tipo di protezione. La cinta dell'asciugamano con cui la piccola si è strangolata gliel'aveva data il suo papà. Non osiamo pensare cosa possa adesso provare, perchè la sensazione di dolore dev'essere quanto meno devastante. Il punto non deve essere oggi accanirsi per cercare un colpevole. Chi siamo noi per farlo e per additare i genitori come presunti inconsapevoli assassini? Il punto è fermarsi a riflettere, difficile certo, perchè ci troviamo in un particolare momento storico in cui anche la scuola è on line con la DAD e tenere i nostri figli lontani dai cellulari e dalle connessione è praticamente un’utopia. Ma i pericoli sono ovunque, on line e off line e il monitoraggio di quanto si fa sugli smartphone da parte dei genitori deve essere altrettanto attento di quando i ragazzi sono per strada, con gli amici, o mentre guardano la TV. Certo il compito dei genitori, spesso impegnati, stanchi, “attaccati” a loro volta ai social o semplicemente ai pc, è sempre più complesso, anche in considerazione che oramai persino i bambini di pochi anni hanno spesso, per giocare o tenerli buoni, un cellulare in mano. Ma abbiamo tutti il dovere di aiutarli ad utilizzare con consapevolezza questi strumenti, per evitare un uso ed un abuso inconsapevole ed eccessivamente disinvolto. Tutti significa genitori, nonni, zii e parenti vari, baby sitter, educatori, gestori dei software e delle relative tecnologie. "Siamo tutti dentro un reality show che richiede performance ammirevoli, dentro un talent in cui guadagnare voti. Dentro la dicotomia figo-sfigato. Tutti partecipi - dice lo psicologo Lo Piccolo- complici e vittime allo stesso tempo. I social hanno solo moltiplicato all’infinito la platea e i palchi. E con questo facciamo i conti, anche negli esiti estremi”. Quindi, prima di scagliare la prima pietra, chiediamoci se non siamo tutti un po’ colpevoli.

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